Creare un ponte tra la situazione di malattia-ospedalizzazione e la normalità: è questo l’obiettivo del progetto ‘Scuola in ospedale’ condotto presso l’Irccs Burlo Garofolo di Trieste perché i bambini e le bambine e i ragazzi e le ragazze lì ricoverati abbiano la possibilità di non interrompere il loro percorso scolastico durante la degenza ospedaliera grazie a un collegamento diretto con la rispettiva scuola di appartenenza. Perché la scuola trasmette coraggio, facendo sì che i piccoli pazienti impegnati nella continuazione del proprio progetto di vita abbiano più energia per affrontare la malattia stessa, ci spiega Donatella Fontanot in questa intervista.
A colloquio con Donatella Fontanot
Incarico di Organizzazione Ufficio Relazioni con il Pubblico e Comunicazione, Referente interno per la Scuola in ospedale e i rapporti col Terzo Settore, Irccs Burlo Garofolo Trieste
Quando è nata e come è cresciuta l’esperienza della scuola in ospedale al Burlo Garofolo?
L’esperienza dell’Irccs Burlo Garofolo di Trieste risale all’anno scolastico 1989/90 con l’istituzione di una sezione della scuola primaria nell’unità di Ematoncologia pediatrica, ma è soltanto nel 2010 che l’attività viene estesa a tutti i reparti dell’ospedale integrando l’offerta anche con una sezione di scuola secondaria di primo grado, cui seguirà, a distanza di un biennio, la sezione secondaria di secondo grado. L’attività ha visto un progressivo e costante incremento in termini di interventi didattici e numero di studenti.
Sostenere bambine e bambini nel loro corso scolastico è un elemento significativo anche perché sottolinea come la cura vada “oltre la clinica”: qual è il suo parere al riguardo?
Il concetto di salute come benessere biopsicosociale è ormai ampiamente diffuso e ripreso in molteplici ambiti disciplinari. Passare dal concetto all’azione significa adottare interventi che agiscano sulle componenti emotive e relazionali delle bambine e dei bambini e delle ragazze e dei ragazzi ospedalizzati.
‘La scuola in ospedale’ è un’attività non sanitaria che contribuisce a fare salute, prendendosi cura della dimensione forse più caratteristica dell’età evolutiva.
L’obiettivo è garantire il diritto all’istruzione anche in un contesto così particolare come quello ospedaliero e dare modo ai bambini e ai ragazzi, in situazione di temporanea malattia, di mantenere le attività tipiche della propria età e dei propri coetanei. La didattica ospedaliera viene effettuata in stretto collegamento con le scuole territoriali di appartenenza e svolge una funzione di ponte tra una situazione di malattia-ospedalizzazione e la normalità.
I docenti collaborano con le équipe dei reparti, le famiglie e le scuole territoriali di appartenenza, predisponendo attività didattiche personalizzate, adatte alle condizioni psicofisiche degli allievi. La partecipazione della scuola in ospedale è considerata parte integrante della cura e persegue il duplice obiettivo di fornire supporto sia scolastico che psicologico, permettendo così al bambino/adolescente di mantenere un legame di continuità con la realtà esterna.
Come ci ricorda il dottor Marco Rabusin, direttore del reparto di Oncoematologia, i pazienti affetti da patologia oncologica hanno un rischio di fallimento scolastico doppio rispetto ai loro coetanei e questo è correlato in maniera significativa con la maggiore gravità della malattia e con l’incidenza degli effetti collaterali legati alle terapie somministrate. Da qui l’importanza di organizzare e sostenere un’attività didattica sia all’interno dell’ospedale che al domicilio perché questa svolge una funzione terapeutica sul piano psichico, un sostegno all’investimento nel futuro del paziente, aiuta a mantenere un senso di normalità e riduce la sensazione di isolamento e fragilità. Rappresenta insomma l’aggancio con la vita che l’alunno viveva prima dell’arrivo della malattia e lo fa anche sentire importante. La scuola trasmette coraggio ponendo l’impegno non solo sulla malattia ma sulla continuazione del proprio progetto di vita.
Per garantire il supporto scolastico a bambini e adolescenti è prezioso l’apporto del terzo settore: è così anche nella vostra realtà?
La scuola in ospedale, presente all’Irccs Burlo Garofolo di Trieste, è un servizio gratuito, statale, valido ai fini legali, erogato durante l’anno scolastico, secondo i calendari degli istituti che lo gestiscono: l’istituto comprensivo Dante Alighieri, per le sezioni primaria e secondaria di primo grado e il liceo classico e linguistico Francesco Petrarca di Trieste, per la sezione secondaria di secondo grado.
L’apporto del terzo settore, attraverso fondazioni e/o associazioni di volontariato riguarda forme di collaborazione nella proposta di laboratori, quali per esempio quelli digitali (Andrea Bocelli Foundation), e quelli artistici come la modellazione ceramica (Fondazione Lene Thun Onlus), attività ‘espressive’ artistico/musicali in occasione delle festicciole di Carnevale, Halloween etc. e in genere la collaborazione con tutte le associazioni di volontariato che agiscono in ospedale e che propongono esperienze sia all’interno che all’esterno della struttura.
Tra le varie esperienze di collaborazione c’è il progetto ‘Una stanza per amica’, ideato e realizzato dall’Associazione di promozione sociale #IoTifoSveva per alleviare la sofferenza emotiva che un ricovero lungo per trapianto o autotrapianto comporta e che prevede il coinvolgimento dell’insegnante e della psicologa di reparto. Il progetto si propone di organizzare una stanza che diventi ‘amica’, arredata in base ai desideri e alle passioni del bambino/a, che sia fonte di sorpresa nonché occasione di approfondimento con interventi didattici mirati da sviluppare in base al programma scolastico.
In una precedente intervista, avete sottolineato come la vostra esperienza solleciti delle sperimentazioni didattiche molto interessanti: può farci qualche esempio?
Mi riferivo al fatto che l’ambiente ospedaliero ha delle peculiarità che possono rivelarsi particolarmente sfidanti e che in molti casi sollecitano soluzioni originali. Ricordo che nei mesi del primo lockdown, da marzo a giugno 2020, quando l’Italia intera è entrata in Dad (didattica a distanza) i docenti della scuola in ospedale sono stati i più preparati e i meglio attrezzati, perché già avevano sperimentato queste modalità, per esempio con i ragazzi immunodepressi.
Le opportunità e i vincoli rappresentati dallo scambio continuo con l’ambiente, con il personale, con le tecnologie e con chi svolge attività di volontariato richiedono ai docenti una grande flessibilità e la capacità di adattare la didattica al contesto, cogliendo il raro privilegio di un rapporto educativo “uno a uno”. Infine, è opportuno sottolineare il ruolo decisivo e complesso di questi insegnanti che animano l’esperienza scolastica in ospedale grazie a una forte motivazione, alta professionalità e intelligenza emotiva. È anche grazie a loro che l’ospedale pediatrico si rivela sempre più una “comunità” ampia, varia e, ci auguriamo, sempre più accogliente.
In pubblicazione su Care 3, 2023