All’indomani dell’approvazione del decreto ministeriale 77/2022 sulla riforma della sanità territoriale il Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) ha condotto un’indagine sul gradimento della sua attuazione tra i pazienti oncologici, i cui risultati preliminari sono stati presentati in occasione del XXVII Congresso Nazionale del Cipomo svoltosi a maggio a La Spezia. Li abbiamo commentati con Luigi Cavanna.
A colloquio con Luigi Cavanna
Past president del Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo)
La prospettiva di un’assistenza sanitaria di prossimità appare talvolta un auspicio più che un obiettivo raggiungibile in breve tempo: è anche per questo che Cipomo ha voluto esplorare il problema conducendo una survey tra i pazienti oncologici?
Una survey tra i pazienti oncologici, pur con i limiti di un numero non elevato di intervistati, può essere utile allo sviluppo di un’attività oncologica di prossimità. Portare le cure oncologiche vicino al domicilio del paziente sta diventando una necessità non più rimandabile. Basti pensare che in Italia vivono oltre 3.600.000 persone che hanno ricevuto una diagnosi di tumore maligno.
Questa categoria di persone è estremamente eterogenea. Comprende infatti persone completamente guarite, persone che stanno ricevendo cure oncologiche per guarire (terapia adiuvante o post intervento chirurgico), persone che ricevono terapie oncologiche che difficilmente porteranno a guarigione ma che possono aiutare a vivere anche a lungo, con una qualità di vita discreta, se non buona (pazienti in fase metastatica di malattia), e i pazienti in follow-up. Questo gruppo così eterogeneo di persone ha come unico punto di “fornitore di servizi” l’oncologia di un ospedale gestito da una Asl, di un ospedale universitario, di un Irccs o di un privato.
Molti pazienti con malattia in fase metastatica devono poi ricevere cure per un periodo molto lungo di tempo, spesso per tutta la vita. Di conseguenza, se è logico che un intervento chirurgico per patologia oncologica venga effettuato in un centro ospedaliero ad alto volume, in quanto viene eseguito generalmente una volta sola, e solo di rado più volte, al contrario, la terapia medica viene ripetuta nel tempo, obbligando il paziente – quando erogata da un unico centro – a sostenere viaggi continui e alte spese, e a subire tempi di attesa lunghi, esponendolo al cosiddetto ‘travel burden’.
Per questo è fondamentale portare le cure mediche vicino al domicilio del paziente. È importante che le cure mediche oncologiche vengano praticate da personale medico e infermieristico specializzato e che la ‘cura’ oncologica territoriale avvenga nell’ambito della rete oncologica. In sintesi il territorio si deve proporre come ‘nodo’ della rete oncologica.
Dai risultati presentati al congresso, può sorprendere che la maggior parte dei pazienti esprima una preferenza per le cure prestate in ospedale. I commenti degli oncologi curatori dell’indagine, però, sembrano nel complesso poco sorpresi. Vi aspettavate un riscontro del genere?
Non sorprende che la maggior parte dei pazienti esprima ancora la preferenza per le cure prestate in ospedale. Infatti, l’oncologia dell’ospedale è storicamente l’unica oncologia esistente. Inoltre ancora oggi una malattia come il cancro, nel sentire comune, induce un senso di paura per la possibile perdita della vita. Alla diagnosi di tumore, ogni paziente chiede di ricevere le cure migliori per sé stesso e non potrebbe essere altrimenti, e le cure migliori in questo ambito storicamente sono sempre state espletate negli ospedali.
Le conoscenze stanno però cambiando molto rapidamente. Molte terapie alquanto efficaci sono oggi possibili attraverso la somministrazione orale e la vita media dei pazienti in fase metastatica è molto più lunga rispetto ad un recente passato per molti tumori. Basti pensare al tumore del polmone, del rene, del colon, del seno, e al melanoma.
Credo che la survey, coordinata dal dottor Sandro Barni, dimostri che oltre il 30% degli intervistati approva la possibilità di essere seguito al di fuori delle oncologie ospedaliere. Questo è un dato rilevante, perché credo, anche se non posso dimostrarlo, che se avessimo fatto questa survey solo qualche anno fa i risultati sarebbero stati molto più ospedalo-centrici.
Sicuramente un grande aiuto alle cure oncologiche territoriali arriva anche dall’innovazione farmacologica che consente la via di somministrazione per os, sottocute o intramuscolo. È inoltre importante che anche l’oncologo si senta impegnato nel restituire tempo al paziente, facendogli risparmiare viaggi, parcheggi, attese per la somministrazione delle terapie, e così via. Non possiamo dimenticare che il malato oncologico deve condurre il più possibile una vita normale, fatta di lavoro, affetti, tempo per il divertimento. Credo che il tempo del cambiamento verso questa direzione stia arrivando, o almeno lo spero.
Colpisce – sempre dai risultati della survey – la ‘semplicità’ di alcuni dei fattori che più ostacolano l’esperienza di cura dei pazienti, come per esempio la mancanza di parcheggio vicino all’ospedale. Come motivare gli amministratori della sanità pubblica a prendersi carico di queste esigenze ‘banali’ ma essenziali?
È vero: la criticità dei parcheggi sembra molto comune fra i pazienti intervistati. Purtroppo non è un problema solo del nostro paese, anche dati statunitensi evidenziano tale criticità. A questo proposito bisogna ricordare che molti pazienti in trattamento oncologico presentano difficoltà di deambulazione per tratti più o meno lunghi e questo è un elemento da non trascurare nel valutare la loro sensibilità rispetto a questo tema. I piccoli ospedali situati nelle zone rurali o le case di comunità, dove questi pazienti possono sottoporsi a day hospital-day service, sono sicuramente meno affollati degli ospedali più grandi e sono raggiungibili con meno disagi, offrendo anche la possibilità di trovare parcheggio più facilmente.
Un tema molto sentito è la telemedicina: in questo caso, il dato allarmante è l’impreparazione di molti (troppi?) pazienti per fornire un parere, una risposta vuoi positiva vuoi negativa, sull’utilizzo di questo strumento. Quali barriere rendono difficile, nella pratica, l’implementazione concreta di un’assistenza da remoto in ambito oncologico?
Il 44% degli intervistati risponde favorevolmente circa l’utilizzo di nuovi mezzi tecnici, come la telemedicina per favorire il passaggio alle cure oncologiche sul territorio, mentre oltre il 36% dice di non sapere; del resto durante la pandemia covid-19 siamo stati obbligati ad utilizzare mezzi tecnici anche rudimentali per il controllo dei pazienti a distanza con successo.
In questa fase storica coincidono due fattori di notevole impatto: 1. l’aumento del numero di pazienti con malattie croniche, come i malati oncologici anche con pluripatologie; 2. la carenza di medici e infermieri. Diventa quindi irrinunciabile l’utilizzo delle tecniche di medicina digitale. Per questo si dovrà attuare un programma formativo sulla medicina digitale non solo per pazienti e caregiver, ma anche per tutto il personale sanitario.
Bibliografia di riferimento
Ambroggi M, Biasini C, Del Giovane C, Fornari F, Cavanna L. Distance as a barrier to cancer diagnosis and treatment: review of literature. Oncologist 2015; 20(12): 1378-85.
Banerjee R, George M, Gupta A. Maximizing home time for persons with cancer. JCO Oncol Pract 2021; 17 (9):513-6.
Cavanna L, Citterio C, Di Nunzio C, Zaffignani E, Cremona G, Vecchia S et al. Le cure oncologiche ed ematologiche sul territorio secondo il modello dell’ASL di Piacenza. Rendiconto di 4 anni consecutivi. Recenti Prog Med 2021; 112(12): 785-91.
Laureatosi in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pavia nel 1978, Luigi Cavanna ha conseguito tra il 1981 e il 1994 la specializzazione in ematologia, medicina interna, oncologia e gastroenterologia. Primario di medicina interna e responsabile dell’Unità operativa complessa di oncologia della Asl di Piacenza, nel 2004 diventa direttore del Dipartimento di oncologia ed ematologia e nel 2007 direttore della Struttura complessa di oncologia medica sempre presso la Asl di Piacenza. Ha conservato entrambi gli incarichi fino al luglio 2023, quando è andato in pensione dopo 43 anni di attività. Dal maggio 2021 al maggio 2023 è stato Presidente del Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo). Nei primi anni Duemila è stato uno dei pionieri dell’oncologia sul territorio, tematica verso la quale ha dimostrato sempre grande sensibilità. Nel 2020, in piena emergenza covid, è stato infatti il primo a organizzare un’unità mobile di diagnosi e cure domiciliari per i pazienti covid, che ha costituito il modello delle Usca, poi esteso in tutta Italia, guadagnandosi anche una copertina sulla rivista Time.
Intervista in pubblicazione su Care 3, 2023