Nonostante gli importanti passi avanti in ambito tecnologico consentano oggi di strutturare percorsi diagnostico-terapeutici appropriati, non tutti i cittadini riescono però ad accedere in modo equo a una diagnostica di eccellenza., sottolinea Kathryn McDonald del Center for Diagnostic Excellence, Armstrong Institute for Patient Safety and Quality della Johns Hopkins University di Baltimora (Usa), nel viewpoint pubblicato su JAMA.
I fattori che giocano un ruolo negativo nell’iter diagnostico sono il luogo di residenza (ad esempio, rurale versus urbano), il reddito, lo stato assicurativo, l’età e la presenza di disabilità, il livello di istruzione, il sesso, l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Anche se la National Academy of Medicine ha implementato negli Stati Uniti un framework concettuale sul miglioramento della diagnosi, in grado di valutare il rischio di disuguaglianza, tale rischio permane per specifiche popolazioni. Durante il Society to Improve Diagnosis in Medicine Patient Summit del 2021, i caregiver delle persone con disabilità o affette da una condizione stigmatizzata (per esempio, obesità e schizofrenia) hanno evidenziato come la presenza di una condizione specifica (nella fattispecie, l’obesità) determini fenomeni di “oscuramento” delle altre condizioni cliniche del paziente, portando a un processo diagnostico insoddisfacente, con esiti potenzialmente gravi.
Da Care 3/2022
Fonte McDonald KM. Achieving equity in diagnostic excellence. JAMA 2022; 327 (20): 1955-1956