I riflettori di tutto il mondo sono puntati sul problema delle demenze e sulla malattia di Alzheimer in particolare, poiché rappresenta la più frequente patologia neurodegenerativa. La sua prevalenza raggiunge infatti il 15-20% nei soggetti di oltre 80 anni e nel mondo vengono diagnosticati ogni anno 7,7 milioni di nuovi casi, con una sopravvivenza media dopo la diagnosi di oltre 10 anni. Considerato il progressivo invecchiamento delle popolazioni, che sta portando a un rilevante cambiamento demografico, l’impatto di questa patologia non può che avere ricadute pesanti sulla sostenibilità dei sistemi sanitari.
Dal momento che tutti i trattamenti finora disponibili non sono in grado di fermare o far regredire la malattia, puntando solo a contenerne i sintomi o a limitarne l’aggravarsi per alcuni mesi, l’approccio attuale della ricerca è quello di sviluppare un intervento farmacologico precocissimo sulle prime fasi della malattia. Molti dei farmaci (oltre 50) in fase finale di sperimentazione agiranno infatti proprio nelle forme ‘prodromiche’ di malattia, che appartengono ad una condizione definita mild cognitive impairment. Per questo si è posta particolare attenzione all’individuazione di biomarcatori che permettano di predire la conversione verso la demenza di Alzheimer dei pazienti con lieve compromissione delle funzioni cognitive. In Italia sono circa 735.000 le persone che vivono in queste condizioni, ma solo la metà di queste, dicono le proiezioni epidemiologiche, svilupperà la malattia. La sfida è quindi di setacciare in questo bacino i pazienti realmente esposti e trattare solo quelli.
Il nostro Paese si sta preparando ad affrontare questo scenario con lo studio osservazionale Interceptor, promosso dal Ministero della Salute, dall’Agenzia Italiana del Farmaco e da alcuni esperti coordinati dal professor Paolo Maria Rossini del Policlinico Gemelli, che coinvolgerà 400 pazienti con lievi deficit cognitivi, di età compresa tra 50 e 85 anni, distribuiti in 5 centri italiani, specializzati nella diagnosi e nella cura della demenza di Alzheimer.
Saranno valutati 7 marcatori selezionati sulla base dell’evidenza scientifica a oggi disponibile, al fine di stabilire quali siano più sensibili e specifici per predire la conversione del lieve declino cognitivo in demenza di Alzheimer. Il costo totale stimato per i 400 pazienti è pari a 3.950.000 euro.
Il vantaggio in termini sanitari ed economici – rilevano le istituzioni promotrici in occasione del Tavolo di lavoro svoltosi a Roma il 6 dicembre presso la sede del Ministero – è evidente, se si considera che
in Italia si stimano oltre 600.000 casi di demenza di Alzheimer (circa la metà di tutte le varie forme di demenza) e sono circa 3 milioni le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza.
Stime di calcolo sui costi sociosanitari della demenza di Alzheimer ipotizzano cifre complessive pari a circa 6 miliardi di euro.
“L’obiettivo finale – ha spiegato il direttore generale dell’Aifa Mario Melazzini in occasione della presentazione del progetto – è di essere pronti a fare uno screening su base nazionale della popolazione di pazienti a rischio di evoluzione verso l’Alzheimer, per ottimizzare la distribuzione dei nuovi farmaci in arrivo. Con un duplice scopo: evitare di esporre al trattamento e ai potenziali effetti collaterali
pazienti che non ne trarrebbero alcun giovamento e garantire la sostenibilità del sistema”.
Beatrice Lorenzin ha sottolineato che in questo caso il nostro Paese si sta preparando per primo ad attivare tutti gli strumenti e il terreno per essere in grado di curare migliaia se non milioni di
persone in modo appropriato e sicuro, quando questi nuovi farmaci saranno finalmente disponibili.