Screening del cancro della prostata: le controversie non accennano a placarsi

Lo screening del tumore della prostata mediante dosaggio dell’antigene prostatico-specifico è da tempo oggetto di controversie per il disaccordo fra gli esperti sul bilancio tra i possibili benefici sulla mortalità e i rischi derivanti dalla sovradiagnosi.

Le differenze tra beneficio stimato e risultati effettivi consigliano grande prudenza nelle conclusioni. Ulteriori perplessità sorgono dalla pubblicazione recentissima su JAMA di due studi americani che documentano come, in seguito alle raccomandazioni della US Preventive Services Task Force che nel 2012 ha preso posizione contro lo screening, si sia verificato un declino temporaneo sia nella richiesta ed esecuzione del test con PSA (dal 36% al 31%) che dell’incidenza di diagnosi di tumore alla prostata nei maschi di età ≥50 anni (da 540/100.000 a 416/100.000). In particolare questa riduzione di nuove diagnosi, pari ad oltre 33.000 casi complessivi, potrebbe tradursi in un teorico aumento di mortalità pari a oltre 1200 casi nel medesimo lasso di tempo. Teorico, perché se si volesse convalidare questa ipotesi studiando l’evoluzione reale della mortalità nel tempo, sarebbe necessario aspettare almeno 10 anni, considerata la lenta evoluzione di questo tipo di cancro. Senza ignorare il fatto che molti uomini, per lo più anziani, morirebbero con il cancro, ma non necessariamente a causa del cancro.

Forse una soluzione alle controversie tuttora aperte sul bilancio rischi/benefici potrebbe scaturire dal perfezionamento tecnico dello screening, allungando per esempio l’intervallo fra i test (2 o più anni nei soggetti anziani o con valori di PSA meno marcati) oppure modificando le strategie sulla base del rischio individuale (calcolato in base ai valori iniziali di PSA).

L’articolo [PDF: 165 kb]

Da CARE 1 2016

Fonti Jemal A et al, JAMA 2015; 314: 2054-2061 – Sammon JD et al, JAMA 2015; 314: 2077-2079 – Penson DF, JAMA 2015; 314: 2031-2033

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